Beta-HCH: le incertezze sulla contaminazione umana nella Valle del Sacco
I risultati dell’indagine compiuta dal Dipartimento di Epidemiologia della ASL Roma E pubblicati il 26.11.2008 evidenziavano per i 9 Comuni inseriti nel Sito di bonifica di Interesse Nazionale, prima dell’opportuna estensione della perimetrazione sino a Falvaterra, una contaminazione del 55% dei campioni di siero umano, non indicando la percentuale per specifica tipologia di sostanza.
Beta-HCH: le incertezze sulla contaminazione umana nella Valle del Sacco
I risultati dell’indagine compiuta dal Dipartimento di Epidemiologia della ASL Roma E pubblicati il 26.11.2008 evidenziavano per i 9 Comuni inseriti nel Sito di bonifica di Interesse Nazionale, prima dell’opportuna estensione della perimetrazione sino a Falvaterra, una contaminazione del 55% dei campioni di siero umano, non indicando la percentuale per specifica tipologia di sostanza.
Forse superfluo ricordare che lo studio fu condotto su un campione selezionato nelle due aree individuate come a maggiore (area 1: comuni di Colleferro, Segni e Gavignano) e minore (area 2: Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino) rischio di inquinamento ambientale, sulla base della distanza dal polo industriale di Colleferro. Il campione comprendeva i soggetti presumibilmente più esposti, ovvero residenti entro 1 km, dal fiume Sacco. Il monitoraggio riguardava gli isomeri dell’ HCH (tra cui il beta-HCH) e metalli pesanti come piombo, mercurio e cadmio.
Ma questi dati sono per molti aspetti interlocutori e, probabilmente, non rendono ragione dell’effettiva contaminazione della popolazione.
In primo luogo va ricordato che non esistono nella letteratura scientifica internazionale valori di riferimento normativi per il beta-HCH.
In occasione dei suddetti campionamenti era stato comunque eletto per l’area di Segni e Gavignano un valore limite di 93,64 ng/g di grasso. Sul nuovo campione di circa 800 persone non si monitorano più i metalli pesanti, ma solo gli isomeri dello HCH (non indicando peraltro il valore di riferimento). A nostro avviso tale limitazione negli inquinanti esaminati non aiuta, visto che ci risulta che in alcune persone analizzate nel precedente studio siano stati riscontrati, per alcune tipologie di metalli pesanti, valori doppi rispetto a quelli limite indicati nelle stesse analisi.
Ma soprattutto regna una grande incertezza circa i dati di riferimento relativi al beta-HCH e l’entità della popolazione esposta alla contaminazione, nonché la gravità di quest’ultima.
Non ci ha mai convinto la limitazione dell’indagine ai residenti a 1 km. dal fiume. Così nel maggio 2010 si è sottoposto volontariamente ad analisi un membro del nostro consiglio direttivo, da sempre residente ad una distanza di circa 2 km. dal fiume Sacco, ai margini del centro cittadino. Il valore riscontrato è di 223 ng/g di grasso, più che doppio di quello assunto come riferimento nello studio.
Torniamo alla spinosa questione dei valori di riferimento. Sino a poco tempo fa non potevano esserci parametri affidabili in quanto tali sostanze erano pressoché sconosciute. Il 26 Agosto 2010 si è giunti, a livello internazionale, all’inserimento del beta-HCH e degli altri isomeri dello HCH tra i POPs (Persistant Organic Pollutants), Inquinanti Organici Persistenti.
Precedentemente, l’Istituto Superiore di Sanità ha effettuato nel 2009 uno studio di biomonitoraggio, Serum concentrations of beta-hexachlorocyclohexane in groups of the Italian general population: a human biomonitoring study (Annali ISS 2009, vol. 45, N. 4, pp.401-408) su un campione nazionale di siero di 116 soggetti residenti in tre città italiane, Brescia, Roma, Napoli, a diversa collocazione geografica. Le concentrazioni del beta-HCH sono comprese nell’intervallo 1,64-300 ng/g di grasso, con una mediana di 18,0 ng/g e un 90esimo percentile di 65,9 ng/g. Il valore rappresentativo si colloca tra i 9,37 e i 29,1 ng/g di grasso e risulta in linea con quello generalmente riscontrato nei paesi dell’Europa occidentale. Nello stesso studio viene anche citata la Valle del Sacco come esempio fuori norma.
Ricapitolando, è evidente che:
– un colleferrino di mezz’età preso a caso, non professionalmente esposto all’inquinante in questione, residente da sempre in città a 2 km. dal fiume, presenta una concentrazione di beta-HCH nel siero di 223 ng/g di grasso, e dunque ha nel proprio corpo una quantità del pesticida 12 volte superiore alla media nazionale ed europea considerata oggi più attendibile. Il dato isolato ovviamente non prova nulla, ma suggerisce l’opportunità di acquisirne altri omogenei.
– per quanto riguarda il 55% dei contaminati residenti entro 1 km. dal fiume, in certi casi il valore riscontrato è anche 50 volte superiore alla media nazionale ed europea.
Quanti abitanti della Valle del Sacco, residenti a oltre 1 km dal fiume, sono contaminati senza saperlo? E quanto inciderà tale contaminazione sulla loro salute?
Forse superfluo ricordare che secondo la scheda internazionale di sicurezza chimica gli effetti da esposizione al beta-HCH possono coinvolgere a breve termine il sistema nervoso centrale, a lungo termine sangue, fegato e reni, nonché provocare tumori. Test su animali indicano la possibilità che questa sostanza influisca sulla riproduzione o lo sviluppo umano.
Con quanto detto sopra naturalmente non intendiamo mettere in discussione la serietà delle analisi epidemiologiche sinora condotte, ma sottolinearne alcuni limiti oggettivi derivanti dalla difficoltà di monitorare efficacemente la popolazione in relazione a un inquinante ancora relativamente poco conosciuto come quello in questione.
Responsabilmente, possiamo riconoscere che si è lavorato e si sta lavorando per la messa in sicurezza e la bonifica dell’area contaminata (pur collocando i siti di stoccaggio definitivi entro il Comprensorio Industriale di Colleferro); possiamo riconoscere che è giusto e opportuno veicolare un’immagine complessivamente positiva della Valle del Sacco e del suo prezioso patrimonio agro-zootecnico e turistico; non possiamo però avallare l’idea che sembra emergere dai convegni organizzati in questi giorni dal Comune di Colleferro, per cui l’inquinamento è pressoché sparito e tutte le criticità relative alla salute della popolazione e alle potenziali fonti di nuova contaminazione sono pressoché risolte.
Come abbiamo cercato di far capire sulla scorta dei dati scientifici oggi disponibili, è evidente che siamo ancora agli inizi nel determinare l’impatto sulla popolazione della Valle del Sacco di uno dei tanti inquinamenti di origine chimico-industriale. Forse il più famoso, ma non l’unico.
E cogliamo l’occasione per rilanciare la nostra proposta di una caratterizzazione storica dell’area industriale di Colleferro, per evitare che uno dei tanti veleni occultati (non si dimentichi il “cimitero dei veleni” scoperto recentemente nel sito dell’ex Oliveri a Ceprano) emerga all’improvviso, con effetti devastanti come quelli del beta-HCH.
Crediamo che quanto detto nasca da un sano e prudente realismo, non certo da tentazioni allarmistiche.
Ufficio stampa Retuvasa
Valle del Sacco, 01.03.11